Questo scritto vuol essere una riflessione sulle dinamiche, che possono legare il disagio psichico con il tempo, inteso elemento attivo nella genesi e nella remissione dello stesso, in alcuni casi potremmo anche parlare di idee, le quali potrebbero risultare forzate per gli accostamenti che verranno fatti.
L’avvicinamento che spesso sarà richiamato ed usato in questo elaborato è l’uso di teorie prettamente fisiche o di altre discipline, questo per ipotizzare il funzionamento di sistemi cognitivi complessi, ed è proprio la complessità che può essere identificata come il primo elemento di congiunzione delle due discipline. Ovviamente questa riflessione non nasce da un’idea personale, ma da delle teorie di riferimento che hanno già una loro validità scientifica; infatti su tale argomento molti illustri personaggi hanno, in diversi modi, dato il loro contributo. È significativo, al riguardo, il tentativo da parecchi anni messo in atto da Roger Penrose e David Chalmers di stabilire una scienza della coscienza, al cui centro si trova per l’appunto l’enigma irrisolto della natura del tempo, nonché la presenza di innumerevoli gruppi di ricerca e studio su molte altre problematiche a questo connesse, come per esempio l’intervento della soggettività nella scienza, l’interazione dell’osservatore con la natura e il suo ruolo (exo- o endo-fisico) nel formulare le sue teorie sul mondo, il ruolo della matematica, l’applicazione della meccanica quantistica al funzionamento del cervello umano e tante altre ancora. Problematiche ancora senza risposta.
Il primo elemento che vorrei prendere in esame, è il fattore “tempo” e di come questo elemento nella sua complessità sia da sempre stato determinate per il genere umano.
Alla fine degli anni Sessanta lo statunitense Alexander Marshak teorizzò che già nel Paleolitico Superiore, ossia dal primo Aurignaziano al tardo Magdaleniano, vigeva un sistema di annotazioni dello scorrere del tempo basato sulle osservazioni delle fasi lunari e che il ciclo lunare era analizzato, memorizzato e utilizzato per scopi pratici ben 15.000 anni prima dell’invenzione dell’agricoltura. Ciò nondimeno, non è nota l’epoca in cui i nostri più antichi progenitori presero coscienza del loro divenire. Il tempo fu spesso immaginato come una divinità mentre la distinzione tra passato, presente e futuro prese contorni via via più definiti man mano che si affinavano il sapere e il linguaggio. In tal senso è emblematico il caso di alcuni aborigeni della foresta amazzonica che ancora adesso non hanno termini nella loro lingua con cui possono distinguere i diversi, per noi ovvi, aspetti del tempo. L’idea dello scorrere del tempo si raffinò lentamente. Sicché l’evoluzione delle ricerche sull’essenza del tempo è ineluttabilmente collegata allo sviluppo delle capacità intellettive. Fino ad arrivare al momento in cui s’iniziò a tratteggiare dei modelli sempre più complessi degli eventi naturali e anche al tempo fu attribuito un significato “scientifico”. Senza voler tracciare tutta l’evoluzione dell’idea di tempo che ha accompagnato il genere umano e che ne ha scandito “l’affinamento delle capacità intellettive”, arriverei direttamente alle attuali teorie.
È il tempo effettivamente una illusione, come asserisce Einstein, dovuta alla nostra mente ed è perciò “fuori dalla fisica”, oppure è un ente reale e connesso con la nostra natura e dunque oggetto della fisica come vuole Prigogine?
Le due principali teorie ipotizzano due distinti modelli:
” il modello dell’universo stazionario
” il modello dell’universo evolutivo
Il primo è infinito nel tempo e nello spazio, e la sua densità rimane costante perché la stessa energia di espansione si trasforma in energia di creazione della materia. In esso non si può propriamente parlare di un tempo cosmico, data la sua eternità e stazionarietà, ma solo di tempi locali, propri di ogni singola galassia o ammasso di galassie. L’altro ha avuto un inizio e una continua evoluzione da uno stato ad altissime temperature e densità allo stato attuale. Nel primo, l’entropia resta costante, nel secondo si ha, a grande scala, un continuo aumento dell’entropia (In fisica l’entropia è una grandezza che viene interpretata come una misura del caos di un sistema fisico o più in generale dell’universo. Viene generalmente rappresentata dalla lettera S).
George Gamow ipotizzò la validità del modello dell’universo evolutivo, la sua teoria fu verificata in seguito per caso da due ingegneri Arno Penzias e Robert Wilson.
Il tempo, come Giano bifronte, offre due facce entrambe condivisibili e accettabili. E ancora oggi, a dispetto delle grandi conquiste della scienza del secolo scorso e le certezze da esse generate, si confrontano due antitetiche linee di pensiero. Il tempo è un espressione dell’anima per Albert Einstein, premio Nobel nel 1905 e nel 1922, mentre è un ente naturale per Ilya Prigogine, premio Nobel nel 1977.
Einstein, convinto che il fluire del tempo fosse solo “un’ostinata illusione dei nostri sensi”, disse che “il tempo è fuori dalla fisica” e per meglio esprimere il concetto specificò che se la Luna potesse avere coscienza penserebbe di girare intorno al Sole per sua libera scelta e non per effetto della legge di gravità. Il suo non era un giudizio campato in aria ma si basava sui risultati della fisica, le cui leggi fondamentali, reversibili rispetto al tempo, hanno prodotto l’incredibile standard tecnologico che contraddistingue la nostra società.
Prigogine, al contrario di Einstein, riteneva il fluire del tempo una caratteristica intrinseca dell’universo. Anche il suo non era un giudizio campato in aria. Noi viviamo nel tempo. Un tempo il cui fluire si mostra anche con i nostri mutamenti fisici e psichici. Un tempo di cui, in qualche maniera, possiamo prevedere soltanto il futuro, che tentiamo in larghe linee di programmare con i nostri progetti. Il fuggevole presente, come affermava già 1600 anni fa Agostino di Tagaste, riusciamo ad apprezzarlo soltanto quando è già divenuto passato. E in quanto passato possiamo soltanto ricordarlo. Su queste basi si sono creati dei metodi comuni a tutte le civiltà di scandire il tempo. Orologi e soprattutto calendari permettono di collocare nel tempo tutti gli eventi trascorsi riferendoli a una comune cronologia. Se non esistesse una cronologia convenzionale non esisterebbe la storia, la quale è un artificio temporale per ordinare gli eventi. La storia se ben sfruttata ci permette di progettare un futuro migliore.
Nel cercare di risolvere questo paradosso, Prigogine diede l’avvio a un processo di revisione dei postulati su cui si basa la scienza, sostenendo che il fluire del tempo deve trovare posto adeguato in una fisica più connessa con tutte le altre discipline, soprattutto quelle umanistiche, e sicuramente più aderente alla realtà delle nostre percezioni, tenendo conto in special modo dell’evidente evoluzione irreversibile di tutti i fenomeni naturali e della tendenza della materia inerte ad auto-organizzarsi producendo ordine dal disordine.
“Il riemergere del paradosso del tempo è dovuto essenzialmente a due tipi di scoperte. Il primo consiste nella scoperta delle strutture di non-equilibrio, dette anche dissipative. Questa nuova fisica del non equilibrio è stata oggetto di numerose esposizioni. Ricordiamo solo che oggi la materia si comporta in maniera radicalmente diversa in condizioni di non equilibrio, quando cioè i fenomeni irreversibili svolgono un ruolo fondamentale. Uno degli aspetti più spettacolari di questo nuovo comportamento è la formazione di strutture di non equilibrio che esistono solo finchè il sistema dissipa energia e resta in iterazione con il mondo esterno. Ecco un evidente contrasto con le strutture d’equilibrio, come ad esempio i cristalli, che una volta formati possono rimanere isolati e sono strutture morte che non dissipano energia.” (Ilya Prigogine)
In questo contesto userei, dunque, come metafora dell’uomo, la struttura di non equilibrio, e vederlo quindi come un sistema, che si auto-organizza ed ha come obiettivo principale la salvaguardia del sé, anche nel soggetto psicotico nel suo delirio, la reazione a elementi esterni è quella della salvaguardia del sé. Tutto questo considerando la freccia del tempo, non più come un espressione dell’animo umano ma come variabile reale, capace di modificare il comportamento dell’uomo stesso secondo il principio d’irriversabilità.
La grande quantità di studi sui sistemi complessi sta profondamente modificando la nostra cultura, avendo messo in evidenza che l’ordine nasce e si modifica continuamente e spontaneamente in natura in modo caotico e impredicibile, ma sempre accompagnato da processi di auto organizzazione a qualsiasi livello di complessità. Un esempio potrebbero essere i sistemi biologici, l’informazione in ingresso viene inserita nel contesto generale di una informazione pre-esistente nel sistema, che la interpreta e la integra con processi che sono certamente molto più complessi di quelli di tipo puramente sintattico dell’intelligenza artificiale (interessante valutare la teoria delle reti neurali). Il processo, tuttavia, non è lineare e presenta importanti analogie con i processi caotici per il fatto di incontrare durante il suo cammino una serie di innumerevoli scelte, che continuamente si presentano e che di conseguenza fanno variare lo stato del sistema.
Tutti questi risultati scientifici portano a pensare che l’origine e l’evoluzione della vita potrebbero derivare dalla tendenza della materia all’auto-organizzazione – in condizioni di lontananza dall’equilibrio, in sistemi di complessità adeguata, in modo che il processo di scambio di informazione possa facilmente stabilizzarsi. Le ricerche hanno condotto anche ad un tentativo di riformulare in una visione olistica il funzionamento dei sistemi viventi, rivisitati alla luce della teoria del caos e visti come sistemi in cui ogni perturbazione proveniente dall’esterno, produce effetti a catena che si diffondono in modo parzialmente imprevedibile nella rete di elementi di cui il sistema è composto. Questo tentativo ha prodotto un altro concetto di grandissima importanza per lo studio della complessità, del caos e dei sistemi viventi, il concetto di “sistema auto poietico”, ovvero un sistema dotato di struttura a rete in cui i processi che avvengono fra i nodi sono strettamente interconnessi tramite feedback.
Il modello auto poietico, sviluppato dagli scienziati cileni Maturana e Varela, si riferisce al fatto che un sistema vivente può essere considerato una rete di relazioni a retroazione fra i suoi componenti. Relazionali tali da modificare (e sostituire se necessario) le funzioni dei singoli nodi allo scopo di mantenere stabile nel tempo il comportamento globale della struttura. Il sistema auto poietico è capace di rigenerarsi continuamente mentre si evolve, in quanto produce le sue componenti ed è a sua volta prodotto da esse in un processo continuo di interazione e feedback stimolato dalle perturbazioni dell’ambiente esterno.
Prima di esplicitare maggiormente il mio pensiero, vorrei riportare dei passi di un’intervista fatta a I. Prigogine:
L’obiettivo della fisica classica era descrivere ogni cosa in termini di leggi immutabili[
] noi al contrario vediamo dappertutto diversificazione, incremento della complessità, fluttuazione, amplificazione [
] La fisica classica voleva eliminare qualsiasi riferimento alla storia. La storia era concepita come qualcosa che esiste solo perché non comprendiamo le cause di un processo fisico. Quando riusciamo a conoscerne le cause allora l’elemento storico può essere eliminato [
]
L’universo non è così semplice. Non può essere ridotto ad eventi indipendenti dal tempo
a un certo punto è iniziata la vita, ad un certo punto ha avuto inizio l’Impero Romano, ad un certo punto sono nati gli esseri umani. E ciò è vero anche per l’universo: a un certo punto l’universo ha avuto inizio. Quindi la visione che oggi noi abbiamo è molto più temporale, storica. Ed essendo molto più temporale, narrativa, questa visione è, naturalmente, più vicina alle scienze umane. Le quali non possono essere comprese senza un riferimento a un elemento narrativo [
] il fatto che si è costretti a parlare di un universo in evoluzione, perché è l’unico modo per descrivere i fatti che si osservano, è una prova che la direzione del tempo non è una costruzione dell’uomo, ma e insita nella natura. (I. Prigogine, Intervista su << Tempo ed Entropia>>, Università di Bruxelles, 1988).
Quindi ripartendo dalla metafora usata precedentemente, è possibile ritrovare molte analogie tra il modello di Guidano e ciò che esprime Prigogine, in quanto l’organizzazione di un individuo è il frutto complesso di una serie d’interazioni, di risposte, di scelte che il soggetto esprime in relazioni a perturbazioni che gli arrivano dall’esterno e non solo ogni qual volta il soggetto compie una scelta tale scelta può a sua volta influenzare le scelte successive, secondo quel complesso meccanismo che può ritrovarsi nei sistemi auto poietici, ma non solo perché l’uomo ha una complessità ancora maggiore cioè è si costretto a rispondere a quelle che sono le perturbazioni che arrivano dall’esterno, ma anche alle perturbazioni menomazioni ecc. che possono arrivare dall’interno, che possono richiedere la sistema di agire su se stesso.
Per questo quando parliamo di organizzazioni di significato personale, non parliamo di risposte determinate di una persona, ma bensì di un evento che probabilisticamente potrebbe accadere. Questo ci porta quindi a descrivere un evento non solo come il frutto di una singola risposta ad un singolo evento, ma come la risposta di una organizzazione complessa che si è organizzata nel corso del tempo, dove il tempo assume un ruolo “reale”, basti pensare che in soggetti psicotici la temporalità di un racconto è spesso compromessa. Quindi anche l’evento che può portare una persona ad avere un episodio psicotico, ci obbliga a leggere questo episodio come l’impossibilità del sistema ad auto organizzarsi intorno all’evento, alla ricerca di un posizione di ri-equilibrio. Impossibilità che non nasce solo dal momento, ma che è anche il frutto “dell’apprendimento” del sistema a rispondere in modo funzionale all’elemento esterno. Potremmo parlare anche di ciò che è una risposta “funzionale”, ma senza dilungarmi troppo mi preme sottolineare il fatto che, secondo me una risposta è “funzionale”, anche in relazione al tempo storico in cui questa viene fornita ed all’evoluzione del soggetto cioè “al tempo dell’individuo”. Quindi l’evento psicotico dovrebbe essere “visto”, come l’evoluzione di un sistema che si è scompensato in un modo che, staticamente poteva essere prevedibile secondo una certa probabilità, ma il momento preciso in cui tale sistema può scompensarsi o il momento in cui si presenta la perturbazione dall’esterno, sono del tutto imprevedibili. In relazione a ciò possiamo ipotizzare che, una persona non nasce disfunzionale, ma possono esserci è vero degli elementi che, correlano positivamente con questa probabilità. Infatti è importante sottolineare che, questa rimane comunque una possibilità e non un evento certo. Quanto detto precedentemente, vale anche per altri tipi di scompenso che una persona può vivere, ma che non destrutturano così tanto il sistema.
Inoltre credo che l’elemento tempo, e quindi il concetto d’irreversibilità, è un elemento molto importante anche in terapia, per molti aspetti; fra i quali il primo è ciò che intendiamo per guarigione, non credo che la guarigione sia il riportare la persona ad un momento precedente al momento disfunzionale, cosa che non credo possibile, ma bensì ipotizzo che il concetto di “guarigione”, sia l’ulteriore evoluzione di un sistema, che passa da una situazione, nella quale non è più in grado di fornire delle risposte di auto-organizzazione adeguate al contesto in cui vive, ad una situazione in cui il sistema attraverso una evoluzione successiva, che non deve essere distruttiva, ma bensì integratrice, può tornare a fornire risposte adeguate alle perturbazioni che possono presentarsi. Quindi come nella teoria di P. il tempo è un continuum nella vita di ogni individuo e ciò che accade e di per sé un fenomeno irreversibile, ma il concetto non deve essere letto come elemento, che ci impedisce di uscire da una situazione di disagio, ma bensì come elemento che ci dà la possibilità di ripercorrere la nostra storia. In conseguenza di ciò quindi è possibile ipotizzare che ogni sistema malgrado le varie situazioni destrutturanti alle quali può essere sottoposto, ha sempre la possibilità di continuare ad evolversi verso una situazione in cui il sistema riesce a riequilibrarsi dopo la perturbazione. Questo significa che ogni persona può “guarire”, ma questo non significa che, in futuro non ci potrebbero essere ulteriori situazioni di disagio per la persona stessa, ma che sarebbero comunque diverse dalle precedenti.
Quindi come evidenzia il grafico (non ha valenza scientifica è usato a solo scopo rappresentativo), il sistema evolve, ma non regredisce.
In relazione a quanto espresso fin’ora quindi è importante per il terapeuta creare un dominio condiviso con il paziente, perché questo darà l’opportunità al terapeuta di poter interagire in questo ambito, aiutando la persona a prendere consapevolezza di ciò che è successo, per favorire quindi il riequilibrio del sistema, dove per riequilibrio non intendiamo una situazione di equilibrio stabile, ma bensì di un sistema che ricercherà continuamente un equilibrio che sarà sempre soggetto ad oscillazioni più o meno grandi, proprio per quello che abbiamo detto precedentemente relativamente all’entropia dei sistemi.
Con questo esposto non voglio affermare che il tempo sia l’unica variabile responsabile del disagio psichico, o che sia elemento fondamentale ed esclusivo sul quale lavorare per risolvere una problematica.
Infatti lo vorrei considerare un elemento che può ampliare la nostra visione del disagio all’interno di un’ottica maggiormente evolutiva del sistema cognitivo. Premesso questo, è fondamentale tenere conto dell’importanza , sia della fisiologia, della terapia farmacologica che della psico-terapia; l’importanza della variabile temporale, intesa secondo l’idea prigogeniana, ci può dare una visione più complessa del sistema cognitivo. Infatti è ipotizzabile che un sistema cognitivo complesso, insieme ad altri sistemi cognitivi ed a tutto ciò che ci circonda (compresa la temporalità, non più come tempo dell’individuo, ma come variabile a se stante) crei a sua volta un sistema che chiameremo ipoteticamente “X” che godo delle proprietà dell’entropia, e ha come obiettivo l’auto-organizzazione rivolta alla salvaguardia del sé.